Usabilità e creatività

Il dibattito sull’usabilità negli ultimi mesi si è spesso
soffermato sul tema ‘Usabilità e Creatività’. In Italia
il sasso è stato lanciato da Franco "Bifo" Berardi sul
forum
di Mediamente.it
, e il thread (la conversazione che ne è conseguita)
ha dato vita addirittura ad un e-book scaricabile sullo stesso sito ma
leggibile solo con un software Microsoft…

Il sasso di Berardi metteva sostanzialmente in guardia sulla possibilità
che l’usabilità portasse ad un’omologazione delle pagine web, orientate
al solo profitto, tagliando fuori possibilità polisemantiche, estetiche
ambiguità e ricchezze comunicative non previste dai rigidi dettami
dell’usabilità nielseniana.

In seguito la discussione ha preso vita su varie liste di discussione,
e perfino qualche convegno è stato organizzato sul tema. Ho avuto
il piacere di partecipare ad uno di questi, alla presenza fra gli altri
dello stesso Bifo Berardi, che dal vivo ha notevolmente chiarito il suo
timore. Bifo teme che il seguire percorsi preconfezionati (le presunte
regolette dell’usabilità) porti il web a un impoverimento dell’esperienza
dell’utente. Di più: Bifo nega che sia corretto utilizzare il termine
utente e che il sito web si possa ridurre allo stato di servizio, per
quanto sui generis lo si voglia considerare.

Il web secondo Bifo è un ambiente, nel quale si vive a tutti gli
effetti, e all’interno del quale l’esperienza non deve essere in nessun
modo omologata. Il suo punto di vista denota la matrice di critica sociale
già ben evidente nei suoi ottimi libri e articoli, e in generale
nel suo pensiero.

Un tema politico

In altre occasioni, il tema non è stato a mio parere colto nel
pieno delle sue implicazioni, anche politiche. Perché di un tema
politico, infine, si tratta. Non si tratta, infatti, di definire in quale
ambito categoriale vogliamo inserire il sito web: se sia un servizio,
un ambiente, un luogo dell’esperienza, un semplice artefatto funzionale.
Il web può essere e diventare tutto questo e anche altro, per ora
non lo sappiamo. E’ vero che nel web vi è un potenziale di ‘liberazione
sociale’, perché consente a chi non ha voce di esprimersi (anche
se molto rimane da dire sul come queste voci possano alla fine trovare
un uditore…). Ma tutto ciò non ci dice nulla su un’altra questione:
il web, come qualunque oggetto, artefatto, ambiente che forma la nostra
realtà, è necessariamente un luogo che veicola senso. Significati,
punti di vista.

Questo accade sempre e comunque: sia che il web sia mero strumento funzionale,
sia che sia luogo di accadimento estetico, o di creazione dell’esperienza
dell’utente. Il punto è che qualunque pagina web non può
esimersi dal comunicare ‘cose’: significati, implicazioni estetiche, contenuti,
propensioni d’uso, punti di vista. Ed è pertanto artificiosa ogni
considerazione che miri a separare nell’oggetto sito un aspetto puramente
funzionale da uno puramente estetico, o anche solo formale.

Pensiamo alle pagine meno estetiche e creative che troviamo in rete:
quelle del sito di Nielsen, www.useit.com. Ebbene, possiamo dire che queste
pagine, spogliate dalle implicazioni estetiche, o meglio, da una volontà
estetica apparente, siano pura funzione? Siano puro strumento? Nielsen
lo pretenderebbe, forse. Ma non è così. Non può essere
così.

Quelle stesse pagine ci parlano anche di altro. Ci dicono che l’autore
non ritiene importante l’abbellimento (anche se, a prima vista non ci
dicono nulla sul perché l’autore non lo ritiene importante), che
la sua idea di mondo web (e la sua idea di navigatore web implicito, di
conseguenza) è quella di un raggruppamento di testi brevi e linkati,
suddivisi in due aree, che sono di dimensione uguale ma di priorità
diversa: quella gialla, che sta a sinistra, è la più importante
perché assume culturalmente (e dunque convenzionalmente) il significato
di punto di partenza della pagina, mentre quella di destra racchiude informazioni
la cui importanza non è molto, ma solo un po’ subordinata alle
altre. Non ci dice molto sulla categoria di informazioni che sta in quest’area:
per capirlo ci si aspetta che scorriamo le parole. Il sito ci dice che
nella visione di Nielsen non è molto importante il lato estetico,
ma non che la forma non esiste.

Forma e funzione non sono separati

Allo stesso modo, qualunque sito rivela in sè implicazioni
che riguardano la forma
, da un lato, e la pura estetica, dall’altro.
Non si tratta tanto, come si dice a volte, di conciliare forma e funzione:
è la stessa dialettica fra forma e funzione che non rende il problema
.
Su web possiamo chiaramente definire un aspetto funzionale pratico (navigazione,
ricerca di info, procedure diverse, fra cui quelle di acquisto), ma non
dobbiamo dimenticare che, trattandosi di un mezzo basato sul contenuto,
anche quest’ultimo ha una funzione. Veicolare concetti, ad esempio, che
sono ben staccati dalla funzionalità strumentale. Dunque la comunicazione
di concetti non operativi è una parte ineliminabile del sito web,
addirittura connaturata ad esso (a differenza, che so, di un martello,
che è quasi solo strumento operativo, e per il quale implicazioni
estetiche o considerazioni formali sono per lo meno estranee alla sua
natura, superflue, benché possibili).

Ridurre il web a mero utensile che rende disponibili contenuti non sposta
il problema: il web veicola significati, e parte di questi significati
non possono essere ridotti al concetto di uso. E dunque – ha ragione Bifo
– a quello di utente.

Più produttivo dovrebbe essere chiedersi quale ruolo abbia una
certa cura della forma e dell’estetica in diversi siti, e andare a risalire
ai significati, impliciti ed espliciti, consapevoli o no, che veicolano.
Il web è comunque un modo per formare esperienza, lo è in
ogni caso. Decidere consapevolmente come tentare di influire su questo
modo dipende da noi, dal progettista. Un sito che, nell’ansia di concentrarsi
su una comunicazione suggestiva e seduttiva oscurasse le possibilità
(delimitate da vincoli tencologici e cognitivi) di mettersi in relazione
d’uso con un ipotetico navigatore, avrebbe fallito parte dei suoi obiettivi.
Ma del resto, è legittimo che un sito occulti se stesso e parte
delle sue potenzialità, se questa è l’intenzione (motivata
da ragioni che rifiutano la funzionalità come logica di relazione,
ad esempio, e che non si aspettano risultati funzionali dal sito…).

Ne consegue che non c’è usabilità che si possa occupare
solo di aspetti meramente funzionali, operativi: essa sarebbe un’usabilità
monca, priva di ‘sensibilità’ strumentale, di capacità di
incidere a fondo sul progetto, sul prodotto, sulla relazione d’uso. Più
sensato porsi il problema della relazione fra aspetti orientati all’uso
funzionale e quelli orientati alla veicolazione di sensi altri. E’ da
notare che lo stesso Nielsen, in merito, compie in maniera silente la
stessa operazione: quando parla di regole per la stesura del contenuto,
per esempio; ma anche quando parla di semplici tagline (ovvero il breve
slogan che accompagna il logo su alcuni siti, di solito composto da una
semplice frase) teorizza un certo modo di veicolare un’informazione e
lo riconduce implicitamente alla necessità di limitarlo all’aspetto
funzionale o di privilegiare una sintetica chiarezza rispetto alla suggestione
di uno slogan che incuriosisce, che può creare una tensione,
ma non chiarisce.

In altre parole dire ‘articoli e consulenza sull’usabilità web’
ha un certo significato, mentre dire ‘il web a misura d’uomo’ ne ha un’altro.
Nel primo caso, si descrive pianamente un’attività (ed è
l’idea di comunicazione che ha Nielsen, in quanto facilitante per la comprensione
di un concetto operativo: cercare articoli, chiedere consulenza); nel
secondo caso si è meno informativi (si tratta di un sito che offre
cosa?…) ma si stabilisce uno slogan, una meta ideale, suscettibile di
venir modificata e ampliata man mano che l’utente utilizza, visita il
sito. Nel primo caso, il potenziale informativo della tagline non è
sostanzialmente modificabile dall’utente, che non deve fare un percorso
di scoperta e di ulteriore costruzione di senso: è tutto già
presente. Nel secondo caso, si esplicita una meta ideale, ma cosa questa
significhi in pratica (praticate l’usabilità, conoscetela, e qui
vi aiutiamo a farlo, perché significa avvicinare il web alle persone
– e dunque si dà un attributo valoriale, quasi etico all’espressione)
è chiaro solo dall’interazione successiva con il sito, che contribuisce
in seguito alla costruzione di un significato che si definisce e arricchisce
in itinere. Quale scelta è migliore? Bisognerebbe stabilire ‘migliore
rispetto a cosa’, a quali parametri di giudizio. Ma scegliere l’uno o
l’altro modo di presentare una comunicazione determina una scelta di campo
i cui significati non sono esplicitamente dichiarati e i cui effetti non
sono nemmeno univoci, ma che certamente ci sono.

Appare evidente allora che vi sono diversi modi di intendere l’usabilità,
come ve ne sono diversi di intendere la comunicazione, e che l’usabilità
è comunicazione.

Comunicare on-line non è come comunicare off-line

Ciò che l’usabilità sottolinea è che la comunicazione
on-line non si può limitare alla replica delle stesse tecniche
retoriche e persuasive dell’off-line, della pubblicità, dell’advertising,
della retorica testuale, della propaganda. Perché diverso è
non solo l’oggetto, ma il contesto d’uso. E invita a riflettere sui modi
attraverso i quali la comunicazione veicola le possibilità d’uso
(efficace, efficente) da un lato e quelli attraverso i quali determina
la possibilità di costruzione di senso (cos’è il mondo,
e cos’è il fruitore, essenzialmente) dall’altro. Questo senso dipende
da un’infinità di fattori, che non sono scollegati da quelli puramente
funzionali: non ne possono cioè prescindere.

Il dibattito fra usabilità e creatività pretende così
di separare artatamente aspetti che all’interno della costruzione di senso
che un essere cognitivo fa rispetto alla sua relazione con il mondo sono
inscindibili.

Eppure vi sono tutt’ora molti (improvvisati) specialisti ed esperti di
usabilità che sembrano non avvedersi di queste implicazioni, sembrano
non volere tener conto di tutti questi fattori, e sembrano non porsi affatto
il problema di quale ruolo comunicativo e quale relazione con il mondo
un artefatto, qualunque artefatto, incorpora in sè. Cioè
che idea implicita dà al suo visitatore della realtà, e
della relazione che intende stabilire con lui (e dunque anche di lui stesso:
del visitatore, cioè).

La progettazione di un sito deve consentire libertà all’utente
o deve incanalarlo verso percorsi predefiniti? Attraverso quali tecniche
è possibile (se è possibile) influenzare la costruzione
di senso del navigatore? Quali gradi di libertà ineliminabili esso
conserva? Sono tutti quesiti che nel web non possono essere delegati a
teorie puramente linguistiche o retoriche, nè funzionali, ma che
investono un’analisi del contesto e del contenuto molto più ampia.
Il quadro formativo di molti sedicenti esperti di usabilità non
sembra invece tenere in adeguato conto di tutte queste implicazioni, inscatolato
in una modellizzazione implicita dell’utente e del mondo che le scienze
cognitive portano inevitabilmente connaturata in sè, al punto talvolta
di non renderla evidente, e dunque osservabile, e discutibile, e criticabile.