Home » Blog » Una nuova piattaforma per gli sviluppatori di servizi pubblici online
25/03/2017
[di Maurizio Boscarol]
Comunque vada, non saremo mai a corto di comunità digitali...
Agid ha annunciato che, in collaborazione con il Team per la Trasformazione Digitale istituito presso la Presidenza del Consiglio e guidato da Diego Piacentini in aspettativa da Amazon, è nato developers.italia.
Si tratta di un sito che:
nasce per mettere a disposizione di tutti il codice sorgente, un moderno sistema per la gestione della documentazione e gli strumenti di interazione per coordinare e sviluppare i progetti digitali della pubblica amministrazione in modo più efficace e veloce, con l’obiettivo di creare un ambiente aperto, in grado di promuovere l’interazione con gli sviluppatori del settore pubblico e privato.
Si tratta di un primo passo per realizzare quello che Piacentini aveva chiamato, in un post su Medium dello scorso dicembre, il sistema operativo del Paese. In sostanza, si condivide codice e documentazione, attraverso piattaforme collaborative, per facilitare tutti coloro che devono realizzare servizi pubblici online. Evitare doppioni, usare il più possibile documentazione condivisa, API aperte, e tutto ciò che potrebbe rendere i servizi fra loro interoperabili, omogenei e più economici.
Le dichiarazioni d’intenti sono tutte ottime. Al momento però è presto per dire la direzione che prenderà il progetto e soprattutto per capirne l’efficacia. L’informatica pubblica in Italia è, sfortunatamente, gestita attraverso appalti elefantiaci, appannaggio di poche grosse e grossissime aziende, che non sempre hanno l’efficienza come primo obiettivo, anche perché devono mantenere strutture corpose e, sostanzialmente, pagare un sacco di stipendi.
Problema che non è solo italiano, e che in USA e UK viene affrontato, non senza qualche polemica, dando spazio anche a gruppi più piccoli di sviluppatori. In teoria, condividere codici, documentazioni e standard dovrebbe aiutare a far lavorare di più i piccoli. Ma dico in teoria: perché ovviamente è sugli appalti che bisognerebbe intervenire, e in generale sui controlli interni ai progetti. Spesso carenti – anche laddove gli appalti li prevedano – per ragioni troppo complesse per esaminarle in queste poche righe.
Altri due rischi del progetto è che venga usato con delle finalità non dichiarate:
C’è poi un’ulteriore idea che serpeggia dietro questo modo di portare avanti le strategie digitali. Quella secondo cui tutto quello che è stato fatto e tutte le competenze interne alla PA degli ultimi anni siano inutili. E quindi sarebbe meglio spazzarle via con continui “nuovi inizi”, nuovi progetti. Sappiamo invece – ma lo si ricorda poco nei continui pianti su quanto male vanno le cose digitali in Italia – che nella PA è all’incirca dal 2008 che le cose sono peggiorate. Magari non eravamo i primi in Europa neanche prima, ma dal 2008 al 2014 siamo semplicemente peggiorati, mentre gli altri hanno fatto passi avanti.
Potenziare ciò che c’era e che funzionava, indicarlo chiaramente, potrebbe anche servire a conquistare una maggior adesione da chi nella PA ci lavora, adesione senza la quale, s’è visto, i progetti di rinnovamento radicale e ambizioso sono destinati al fallimento.
Vedremo: sono tutti dubbi che solo il tempo dissiperà. Siamo ai primi passi di un tentativo di “cambio di direzione” in logiche molto complesse e stratificate. Non pensiamo sia semplice, non abbiamo soluzioni alternative da proporre, tranne forse di essere concreti e onesti: proporre cose utili e giuste, attraverso queste piattaforme, e non solo imporre decisioni magari discutibili. Fare in modo di avere davvero una comunicazione bidirezionale, ed essere realmente aperti ai buoni contributi, se arriveranno. Il nostro augurio è che tutto vada per il verso giusto, e che i risultati superino le aspettative.
Male che vada, comunque, almeno non rimarremo a corto di comunità online…
Tag: agenda digitale, pubblica amministrazione
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