Social network e interfacce sociali: intervista a Gianandrea Giacoma e Davide Casali

Uno degli interventi di Better Software che si preannuncia più stimolante per chi si occupa in particolar modo di usabilità e di progettazione delle interfacce è senz’altro quello di Gianandrea Giacoma e Davide “Folletto” Casali, che si occuperanno di Interaction Design e Analisi dei Social Network. Le interfacce sociali, quelle che prevedono cioè un’interazione e una comunicazione fra gruppi per facilitare attività di carattere sociale, stanno da qualche tempo emergendo nel web grazie alla crescita dei social network e stanno ponendo nuove sfide a chi si occupa di usabilità, come abbiamo anticipato qui su Usabile.it in un recente articolo.

In quest’intervista approfondiremo con Giacoma e Casali alcune applicazioni pratiche di questa attività di progettazione, grazie alla loro esperienza diretta sul campo.

Presentatevi brevemente ai lettori: competenze, provenienze, attività principali

GIAN: Sono uno psicologo che svolge ricerca e consulenza sul Social Network Design, l’Enterprise 2.0 e Marketing dei Social Media. Mi posiziono come competenze soprattutto sul versante persona all’interno dell’interazione uomo-macchina (sempre più uomo-macchina-uomo) con un taglio particolarmente transdisciplinare utilizzando la psicologia nel suo ampio spettro di conoscenze non riducibili alla ergonomia cognitiva. Collaboro in Univ. Cattolica, Bicocca e MIP a Milano. Sono membro di Idearium e Bzaar.

DAVIDE: Sono una persona molto portata per la sintesi, il bilanciamento e l’organizzazione con una spiccata attenzione per quelle che sono le dinamiche sociali e i comportamenti delle persone. Queste doti mi hanno portato dopo un trascorso come programmatore e grafico verso l’Interaction Design, disciplina nella quale una parte rilevante delle mie competenze riesce ad esprimersi al meglio.

Al momento lavoro in Maison,the, una delle poche società italiane unicamente dedicate all’interaction design e partecipo attivamente in alcuni altri progetti come WideTag.com, Good50×70.org, Idearium, Bzaar, Tonight.eu, Stacktrace che spaziano dalla “internet of things” alla sensibilizzazione sociale alla divulgazione tecnologica alla nightlife.

Qual è l’argomento al centro del vostro seminario a Bettersoftware?

GIAN: Porteremo a Better Software la nostra esperienza e ricerca su ciò che alimenta i Social Network dal punto di vista motivazionale e di incentivi. Ormai i tempi sono maturi per andare oltre gli slogan e cercare di individuare degli standard progettuali delle dinamiche sociali, psicologiche, individuali e di gruppo che sottendono i Social Network. Essendo competenze e ambiti nuovi (ma che possono attingere a discipline ben più antiche senza riscoprie la ruota) proporremo, in una logica di continua beta, Design Motivazionale che è il modello di SN Design che abbiamo sviluppato.

DAVIDE: A Better Software porteremo una parte del nostro lavoro che riguarda le motivazioni e i principi primari che sono a fondamento di tutte le dinamiche sociali applicate a dei media tecnologici come è il web. Quello che è il nostro intento è fare capire da un lato che la componente tecnica è abilitante ma non è motivo sufficiente per innescare tutti quei meccanismi che hanno portato O’Reilly ad usare il termine Web 2.0,

Per capirsi: mettere online un forum è la parte tecnica abilitante, ma se nessuno lo usa non serve a nulla! Quali sono quindi i principi che permettono a chi progetta questi sistemi di utilizzare le dinamiche sociali? Noi forniremo risposta a questa domanda con il Design Motivazionale e i suoi 4 elementi chiave: bisogni funzionali, usabilità sociale, motivazione e flusso di attività circadiano.

Nei social network si possono osservare dei pattern di comportamento tipici, un po’ come si osservano nelle comunità e nei gruppi in genere . Quanto questi comportamenti possono essere influenzati da specifiche progettazioni dell’interfaccia? La presenza o l’assenza di strumenti specfici, la frequenza con la quale vengono pubblicate novità, o anche solo la capacità dell’interfaccia di segnalare cosa fanno gli altri, influenza (e come) l’attività degli utenti?

GIAN: Indurre determinati comportamenti degli utenti è una questione delicata. Per ora noi ci siamo mossi soprattutto nella direzione di aderire alle esigenze di un utente tipo come sistema sociale e psicologico (collocando Design Motivazionale sopra lo UCD), in quanto il difficile e delicato passo della induzione è tutt’altro che scontato. Devi tenere conto che nei Social Network si ha a che fare con sistemi super complessi dove ha più senso parlare di innesco e facilitazione che di una vera e propria induzione e manipolazione deterministica. Ovvio che l’interesse nell’individuare “meccanismi certi” almeno su grandi numeri c‘è, il punto è capire quali e come sono applicabili e utili di volta in volta. Stiamo lavorando anche su questo ma per ora non ci sbilanciamo.

DAVIDE: Inizierei con una precisazione: a mio avviso separare “social network”, “comunità” e “gruppi” come tre entità distinte rischia di essere fuorviante. Questi tre termini rappresentano più dei fattori di scala che dei cambiamenti di struttura: il fondamento di tutti questi sono i singoli individui che tramite dinamiche complesse di interrelazione e motivazioni intrinseche ed estrinseche costituiscono delle macrodinamiche osservabili, un po’ come possiamo osservare un organismo nel suo complesso (macro) oppure discendere ai singoli organi fino ad arrivare alle cellule (micro).

Il design, inteso come progettazione e bilanciamento di differenti requisiti, è un elemento fondamentale nel plasmare queste dinamiche sociali perché sul web (e non solo) comunichiamo non direttamente ma attraverso un canale e la forma di questo canale influenza le mie decisioni, anche solo semplicemente per prossimità: se un task è stato progettato per essere molto più intuitivo di un altro, questo sarà probabilisticamente più spesso intrapreso dagli utenti. Digg sarebbe la stessa cosa se per votare una singola storia si dovesse passare attraverso 3 click?

Il problema però è capire che non sono solamente caratteristiche intrinseche dell’oggetto progettato a determinarne l’utilizzo, la gestalt non basta e la piacevolezza estetica è soltanto un fattore. E’ necessario invece capire un singolo elemento come verrà percepito dall’utente finale. Si parla quindi di affordance, di aspettative e di quale motivazione porta l’utente a fare quell’utilizzo.

Ad esempio un sistema di classifica che sia basato su due pulsanti “vota a favore” e “vota contro” innesca dinamiche differenti rispetto ad un sistema di voto con solo “vota a favore”. La prima genera una competizione maggiore. Non si tratta di fenomeni trascurabili, perché seppure rappresentino sfumature di significato per il singolo, una volta inserite in un sistema complesso di socialità la loro somma porta a fenomeni rilevanti e addirittura preponderanti: una community nel giro di 6 mesi può allontanare certe categorie di persone e avvicinarne altre, trasformando sensibilmente l’ambiente.

Se le interfacce influenzano il comportamento su base statistica (se rendono cioè più probabili certi comportamenti piuttosto che altri, come anch’io credo) allora il progettista ha una responsabilità che non è più specifica del progetto, ma diventa anche una responsabilità sociale. Influenza le dinamiche collettive (un tema che ricorda, tecnologizzato, quello posto dal paternalismo libertario di Nudge, il libro di Thaler e Sunstein – che non a caso fanno molti esempi provenienti dalla Human Computer Interaction e citano spesso Donald Norman).

GIAN: Questa domanda solleva l’importante natura psicologica delle interfacce grafiche che nei Social Network non sono solo artefatti cognitivi ma artefatti sociali e psicologici che oltre ad informare permettono la creazione di identità, la costruzione e condivisione di relazioni. Manca ancora una psicologia della interazione abbastanza ampia, si tratta di unire competenze tradizionalmente distanti ma crediamo che l’interaction design avrà sempre maggiore necessità di ibridarsi con la psicologia e la sociologia.

In fine, credo che buona parte delle innovazioni legate ad internet saranno in misura diversa delle innovazioni anche sociali. Siamo in un’era, la Società della Conoscenza, dove dobbiamo fare i conti con tanti piccoli Gutenberg. Ora non è ancora completamente chiara quanta potenza avranno le applicazioni da Social Network nei prossimi anni ma con Davide sia in Elementi Teorici per la Progettazione dei Social Network che in Design Motivazionale abbiamo sempre voluto sottolineare che bisogna porre una certa attenzione ai soggetti deboli che possono usare certi strumenti.

DAVIDE: La responsabilità è sociale, ma solamente rispetto alla “società” di riferimento: un sito per 10.000 persone non rientra nella definizione comune di “responsabilità sociale”, mentre grossi siti fortemente frequentati hanno questo genere di responsabilità anche nel senso tradizionale del termine. A titolo di esempio basti vedere le implicazioni di privacy di Facebook e come questo strumento sta trasformando il senso di privato e pubblico di moltissime persone.

Sullo stesso argomento, recentemente ha scatenato un certo stupore e qualche controversia l’intervento dell’interaction designer Robert Fabricant all’IxDA 2009 di Vancouver, durante il quale ha ricordato che il ruolo dell’interaction designer è quello di modificare, guidare, supportare, elicitare, costringere e controllare il comportamento degli utenti. La cosa è stata presa abbastanza male da una parte della comunità, che non accetta di venirsi etichettare come “manipolatori” del comportamento altrui. Ma Fabricant ribadisce: se il nostro ruolo non è quello di influenzare il comportamento, che ci stiamo a fare? Semplicemente, ritiene che la cosa non sia mai stata esplicitata chiaramente.

GIAN: Forse manipolare è stato scelto volutamente in modo provocatorio per attirare l’attenzione. Ritengo più corretto dire che è importante sviluppare soluzioni per indurre gli utenti verso certi comportamenti, in una logica del condurre. Subentrerà sempre più una possibile questione etica? Credo proprio di si, come è già accaduto per esempio nei mass media, nella pubblicità, ecc..

Se dividiamo l’interazione uomo-macchia nei suoi elementi (sistema macchina, sistema uomo e il processo di interazione) è sul versante utente (persona) che c‘è oggi il maggiore interesse e necessità di crescita di competenze nell’interaction design. Stanno crescendo le competenze sugli utenti come sistemi comportamentali e psicologici, pensiamo, per esempio, al lavoro sulla tecnologia persuasiva di B.J. Fogg della Stanford University.

DAVIDE: Preferirei ripartire dalla citazione che riporta nella sua presentazione: “Technology is not our medium, behavior is!”, che ritengo essere il passaggio chiave.

Infatti la focalizzazione sul comportamento umano consente di rimuovere lo “scudo” di neutralità dietro al quale l’approccio tecnologico si nasconde facilmente. Lavorando con i numeri, è facile staccarsi da ciò che i numeri e le metriche rappresentano.

E cosa succede rimuovendolo? Che si nota che ci sono le persone prima con i comportamenti e poi con motivazioni, necessità, desideri e istinti.

E questo non è neutro. Un interaction designer anche se non lo sa prenderà sempre decisioni che influenzano il comportamento delle persone. Ritengo sia una illusione credere nella neutralità delle attività umane.

Contemporaneamente però bisogna dare il giusto peso a questo: non significa infatti che si è dei manipolatori, a priori. Il fatto di poter influenzare il comportamento è soggetto ad una scelta che sta a monte: come voglio influenzarlo?

Fortunatamente il background tecnocentrico ci aiuta in questo, solitamente la risposta è “per rendere migliore il suo lavoro, più usabili i suoi strumenti”. Ma ancora meglio sarebbe riuscire a prendere coscienza di questa possibilità e agire di conseguenza, capendo quello che si progetta e nel caso smettendo di essere dei semplici esecutori che applicano delle tecniche.

Ritengo quindi che la discussione nata all’IxDA 2009 sia molto utile per la crescita della disciplina e per smuovere molte persone che magari non avevano ancora avuto occasione di notare questo aspetto della professione.

Quali sono i metodi di studio e di analisi delle interfacce e degli utenti che distinguono il vostro approccio da quello più tradizionale in uso nello UCD?

GIAN: Design Motivazionale si colloca sopra lo UCD non ne è alternativo ma lo amplia su certi versanti. Si tiene maggior conto dei possibili agganci che può fornire l’utente come sistema non solo razionale e cognitivo ma anche emotivo e relazionale.

DAVIDE: E’ essenziale fare la premessa che il nostro metodo non si distingue dalle metodologie UCD: sappiamo che differenti realtà utilizzano in dettaglio variazioni e metodologie leggermente differenti, pur mantenendo l’idea principale di progettare intorno agli utenti.

Per questo motivo non vogliamo proporre qualcosa che obblighi un cambio di processo per i gruppi di lavoro, ma una serie di elementi che si affiancano a quanto viene già fatto come User Centered Design.

Il modello di usabilità sociale sviluppato da Giacoma e Casali.

I quattro elementi chiave della nostra metodologia (bisogni funzionali, usabilità sociale, motivazione e flusso di attività circadiano) possono essere applicati in modo semplice, per guidare le metodologie esistenti sia in fase di analisi che in fase di design.

Il nostro differenziale è quindi non sulla metodologia UCD in senso stretto, ma sugli elementi che il processo di design deve utilizzare per poter progettare realmente intorno all’uomo come individuo e come persona sociale.

Come vedete il futuro dell’interaction design?

GIAN: C‘è una difficoltà insita al mondo tecnologico di fare i conti con la natura profondamente transdisciplinare dell’interaction design per motivi culturali e di interpretazione del mercato ma, oggi, è un problema trasversale a tutta l’innovazione. E’ in atto una accelerazione degli artefatti cognitivi che rendono i nostri contenuti mentali (pensieri, progetti, desideri, ecc) capaci di essere oggetto nel mondo materiale in quanto rappresentabili, elaborabili, comunicabili, condivisibili con sempre più facilità, trasparenza, leggerezza, velocità potenza. Questo processo mi fa immaginare un interaction design sempre più legato ad una più matura psicologia della interazione.

DAVIDE:In questo momento io non ho una visione sul futuro dell’interaction design, se non che si tratta di una disciplina ibrida e intermedia fra molte altre. Mi piace pensarla analoga a quella di un produttore cinematografico, che crea l’ambiente per fare incontrare più professionalità differenti. Forse si evolverà in questo senso, non so.

Io mi sto volgendo più indietro, verso le figure di riferimento nel “design” in senso allargato e trovo continuamente riscontri in tutte le idee base di questa disciplina. Ascolto le parole di Bruno Munari per esempio e noto che tutto quello che dice lo applico o potrei applicarlo nel lavoro di tutti i giorni. Lui parlava più spesso di oggetti fisici, io più spesso di virtuali, ma alla fine l’ergonomia cognitiva è sempre presente, che cambia fra i due?

Grazie della disponibilità. L’intervento di Giacoma e Casali a Better Software si terrà mercoledì 6 maggio alle ore 12.

Siete interessati a “Better Software”? Potete leggere anche l’intervista ad Andrea Resmini sull’architettura dell’informazione.

Cosa sono i test di usabilità

Una delle difficoltà più sorprendenti per chi si occupa di consulenze di usabilità è quella di vedersi sempre più spesso chiedere cosa siano e a cosa servano i test di usabilità. E' evidente che se un cliente non conosce uno strumento, non lo può apprezzare, né comprare. Si è fatta troppa poca comunicazione e troppa confusione su cosa siano questi test. Proviamo in questo articolo a fare un po' di chiarezza e a puntualizzare cosa sono, a cosa servono e, almeno a grandi linee, come si fanno i test di usabilità, per capire quali siano i vantaggi e gli svantaggi dei diversi modi con cui si possono applicare all'usabilità dei siti web.

Un insieme di metodologie

Anzitutto è bene precisare che i test di usabilità sono un insieme di metodologie. Soprattutto negli ultimi anni, con l'avvento dell'usabilità sul web, non è bene pensare al test come ad una tecnica che si applica in un modo solo, all'interno di una precisa cornice teorica e di un unico paradigma sperimentale. E' più corretto dire che si tratta di una famiglia di tecniche, che peraltro sono la vera ragion d'essere e il punto di forza dell'usabilità rispetto ad altre discipline. Il compito dei test è studiare il comportamento degli utenti reali alle prese con prodotti reali (i siti) o con loro prototipi, con due obiettivi:

  1. Identificare criticità e colli di bottiglia dell'interfaccia, per poterli correggere in fase di design
  2. Capire come l'utente si muove e ragiona, e dunque quali sono le ragioni di eventuali difficoltà, per tenerne conto nella fase di progettazione.

I test prevedono che ogni utente venga osservato individualmente, e non in situazioni di gruppo, e che i compiti che esegue siano gli stessi per ogni utente che partecipa al test. Questo è ciò che accomuna le diverse tecniche. Tutto il resto cambia a seconda dei vincoli di ogni progetto. Per capirci, affronteremo due diverse varianti, per concludere poi con un metodo di osservazione totalmente ecologico, privo dei vincoli dei primi due metodi, ma che proprio per questo ha applicabilità limitata.

Il test sperimentale

Quella sperimentale è la metodologia più completa e rigorosa con la quale si possa affrontare il test. E' caratterizzata da una lunga fase di progettazione e definizione teorica, durante la quale si progetta un disegno sperimentale vero e proprio. Non è possibile in questo articolo entrare nei dettagli, ma possiamo riassumere così i requisiti:

  1. Identificazione di tutte le variabili coinvolte nell'interazione fra utente e sito. Tipicamente, esse riguardano alcuni assunti sulle persone che verranno testate, che devono appartenere ad una stesso gruppo, ma anche assunti sulle caratteristiche dell'interfaccia, di ciò che può variare e che può incidere sulla prestazione
  2. Reclutamento dei soggetti su base campionaria: identificata la popolazione scelta, bisogna estrarre da essa un campione di persone che dia ragione dell'intera popolazione, anche cioè di coloro che non possiamo testare direttamente. I soggetti vengono divisi in gruppi statisticamente equivalenti, ad ognuno dei quali verrà sottoposta una delle condizioni sperimentali che si intendono confrontare (interfaccia A e interfaccia B, a parità di ogni altra situazione, per esempio).
  3. Presenza di precise ipotesi sperimentali. Il test è un vero e proprio esperimento scientifico dove attraverso il controllo delle variabili coinvolte si prova a falsificare una certa ipotesi (per esempio che l'interfaccia A sia ugualmente efficace dell'interfaccia B, per quella data popolazione)
  4. Misurazione rigorosa dei dati sperimentali, con eventuale registrazione della prestazione su videotape. Vengono raccolti i dati rilevanti per la misura della variabile che vogliamo controllare (numero di errori, per esempio, o numero di click, o tempo di esecuzione, eccetera)
  5. Analisi statistica dei dati. i dati raccolti vengono analizzati e corretti secondo opportune tecniche statistiche. Al termine una formula matematica ci dirà se, al netto di tutto ciò che siamo riusciti a controllare, un gruppo avrà ottenuto o meno una prestazione significativamente migliore di un'altra, oppure no. Non solo: ci dirà anche con quale grado di probabilità quella differenza (o quella mancata differenza) sia attribuibile al caso, oppure alle variabili che abbiamo controllato

Questo tipo di metodologia richiede un numero molto alto di soggetti. Ogni gruppo deve andare da un minimo di 12-15 soggetti fino ad un ideale di 25-30. Moltiplicato per il numero di gruppi (di solito almeno due, a meno di usare un disegno pre-post, raro nell'usabilità), si fa presto a calcolare il costo e i rischi di una tale metodologia. Per di più, questa tecnica consente di valutare soprattutto una variabile precisa: quella che differenzia A da B. Lo fa con un alto grado di attendibilità, ma non è quel che di solito serve in un progetto web. Il rapporto benefici/costi è decisamente sbilanciato a favore dei costi. Tale tecnica è indispensabile per verificare e far evolvere modelli concettuali e teorici. Non altrettanto per un progetto web.

Il test semplificato

In questa metodologia, lo scopo è ottenere indicazioni su possibili elementi dell'interfaccia che ostacolino il corretto svolgimento dei compiti da parte dell'utente medio o di un target più preciso di utenti (a seconda del progetto). E' una versione metodologicamente semplificata del set sperimentale visto sopra. Ciò che occorre per condurre questo test è:

  1. Un'interfaccia almeno semi-funzionante del sito o dei bozzetti di lavoro
  2. Una serie di compiti significativi da somministrare ai partecipanti
  3. Una sede comoda, in cui non venir disturbati, con un computer e una connessione dello stesso livello di quelle che usano gli utenti tipici
  4. Un numero di utenti variabile da 3 a 8 per ogni gruppo relativamente omogeneo di utenti, da convocare uno alla volta.
  5. Un osservatore esperto che conduca il test mettendo a proprio agio le persone senza influenzarne la prestazione, e che sia in grado di annotare errori e osservazioni in tempo reale, traendo il massimo dai soggetti coinvolti

Eventualmente è possibile registrare o audioregistrare la seduta. La presenza di una telecamera può mettere a disagio l'utente e non è sempre consigliata. L'audioregistrazione è invece indispensabile quando si utilizza, all'interno di questa metodologia, la tecnica del pensare ad alta voce (Thinking aloud), usata in ambito clinico e pedagogico con diverse funzioni, fra cui quella di esplicitare i processi cognitivi mentre avvengono. Inevitabilmente il TA è una tecnica invasiva, che influenza l'oggetto stesso che tenta di osservare, cioè il pensiero. Inoltre rallenta l'utente: in quel caso non vanno considerati i tempi di prestazione. Tuttavia è utile perché costringe l'utente ad una maggior concentrazione. Se nonostante questo sforzo avvengono errori o incomprensioni, è altamente probabile che questi avvengano a maggior ragione in condizioni naturali, con concentrazione più bassa.

Il TA andrebbe usato da un trainer addestrato: idealmente solo uno psicologo può avere questa formazione. Quando ho visto usare questa tecnica da persone non esperte, anche se magari molto esperte nella conduzione di altri strumenti, come i focus group, si sono evidenziati gravi errori di conduzione, per lo più inconsapevoli. Bisogna resistere alla tentazione di indagare quello che ci interessa ad ogni costo: è necessario lasciare libero l'utente di affrontare il compito con la strategia che preferisce e con la libertà di ragionamento che crede. Vi sono alcune semplici tecniche per tornare su un dato argomento, o per ottenere approfondimenti su un aspetto. Ma vanno usate con cautela e moderazione e non vanno insegnate in un semplice articolo. Approfondimenti su un certo aspetto dell'interfaccia possono essere richiesti al termine della prestazione, quando è opportuno un piccolo colloquio chiarificatore con l'utente che si è prestato al test. Un conduttore addestrato è la scelta migliore per questi test, perché minimizza i rischi connessi ad una cattiva conduzione. Se bisogna spendere una certa cifra per utenti e attrezzature, almeno è bene fare in modo che questo investimento non vada bruciato da un esperto… poco esperto. Certo, anche l'esperto è un costo (relativo, all'interno del budget di un progetto), ma serve a far fruttare gli altri soldi investiti: va visto dunque come una risorsa, a patto di sceglierlo bene.

Questi test sono di solito molto faticosi, possono durare anche un'ora per soggetto, e condurne 4 o 5 di seguito affatica molto il conduttore, che rischia di invalidare i successivi per mancanza di concentrazione e lucidità. Questi test vanno accompagnati da opportuni moduli da far compilare ai soggetti, meglio se comprendenti anche dei questionari da valutare a parte.

I dati che si raccolgono, dato l'esiguo numero dei partecipanti, non hanno validità statistica. Possono comunque essere riassunti in grafici o tabelle per semplificare l'esposizione, con l'accortezza però di non farli passare per rappresentativi di una popolazione, ma come utili indicazioni di tendenza da confrontare con le prestazioni riscontrate.

Scienza o arte?

Molto si è scritto, anche a sproposito, sulla scientificità di questo metodo. Dato che la bassa numerosità del campione rende i dati statisticamente inattendibili, si pretende che questo metodo non abbia dignità scientifica. Per restituirgliene almeno in parte si cita a volte la famosa ricerca di Nielsen e Landauer (che mi risulta mai replicata) sul fatto che 5 utenti identificherebbero la quasi totalità dei problemi di usabilità di un'interfaccia, dato che ogni utente successivo al primo incontra problemi in parte già incontrati dai suoi predecessori, e solo in parte di nuovi. Di conseguenza, sarebbe addirittura uno spreco utilizzarne più di cinque!

Comunque si voglia considerare questa ricerca, non bisogna confondere i test sperimentali, statisticamente significativi, con i test semplificati, non significativi. E' lo scopo dei due strumenti ad essere diverso, e pure il paradigma concettuale da cui nascono. Lo scopo dei primi è quello di prendere decisioni su ipotesi precise, non di analizzare le cause di un ampio spettro di comportamenti; quello dei secondi è identificare un insieme di problemi dell'interfaccia, scoprirne le cause e rimuoverli. Il test informale non è insomma il parente povero del test sperimentale: è un altro strumento, da usare in situazioni diverse e con obiettivi diversi, per i quali si dimostra più adatto. Ciò che è più importante, la mancanza di validità statistica non significa che il test si possa condurre senza preparazione, come a volte si crede. Ci sono molti accorgimenti 'tecnici' da adottare durante la sua conduzione, che rendono questa metodologia altrettanto passibile di invalidazione e di errore qualora non venissero attuati. Per condurre questi test in maniera scientifica è necessario conoscere gli assunti teorici e metodologici su cui si fondano, per capire quali comportamenti del conduttore o quali variabili ambientali possono influenzarli. Il fatto che i dati siano soprattutto di tipo qualitativo non toglie rigore allo strumento e non elimina la necessità di un'accurata preparazione del set, in modo di tenere sotto controllo il maggior numero di variabili possibili.

Un approfondimento metodologico interessante sui metodi di osservazione di questo tipo è quello proposto da Francesco Casetti e Federico Di Chio, che nell'appendice del loro "Analisi della Televisione" (Bompiani, 2001), affrontano il problema della validità degli strumenti di analisi di quel mezzo. Anche nello studio della tv, infatti si utilizzano – assieme altre tecniche – indagini ad personam, statisticamente non rappresentative. Ciò che questi metodi hanno a loro vantaggio, però, è l'esemplarità delle singole osservazioni, rispetto alla rappresentatività dei metodi a base statistica. L'esemplarità è basata sulla significatività qualitativa, invece che quantitativa, e si fonda sull'identificazione e l'approfondimento di modi di comportamento che potrebbero rappresentarne altri. Ogni soggetto diventa dunque esemplare di altri comportamenti, anche se naturalmente potrebbe non coprire l'intera gamma di comportamenti possibili, e di fatto non la copre. Rimandiamo a quel testo per approfondimenti.

L'osservazione ecologica

In questa metodologia ci si sforza di osservare una certa popolazione di utenti del sito in un contesto il più possibile naturale, tentando di non farsi notare mentre si osserva, per non influenzare la naturalezza del comportamento. Tutto ciò che l'osservatore deve fare in questa fase è annotare, di solito secondo una griglia di osservazione predisposta, comportamenti, attività rilevanti, elementi che possano essere in qualche modo utili alla progettazione. Il vero scopo di questo tipo di osservazione, è di tenere conto dell'esecuzione di una certa attività nel contesto reale, che spesso sfugge ai progettisti. Ad esempio, una procedura di acquisto di medicinali da parte di farmacisti può essere progettata per la massima sicurezza della transazione, con un'estrema attenzione alle fasi cruciali del compito e con una gestione di time-out che faccia cadere le transazioni che durano oltre un certo tempo, per ragioni di sicurezza. Tuttavia ad un'osservazione del contesto ci si accorgerebbe che i farmacisti lavorano spesso in un ambiente rumoroso e distraente, e vengono spesso interrotti da clienti o colleghi. Capita così che la procedura di acquisto venga interrotta e ripresa più volte. Diventa allora cruciale la chiarezza di ogni fase della procedura d'ordine e la necessità di tener traccia costante delle attività fin lì svolte.

Molte cose si possono scoprire dall'osservazione naturale del contesto, che è molto utile nelle intranet o in situazioni nelle quali l'utenza è molto controllata. E' inutile, per fare un altro esempio, distribuire in una intranet i documenti in formato pdf da stampare, se vi è un'unica stampante centralizzata, accessibile solo a pochi… Meglio fornire diverse alternative, anche in html semplice e leggero, ottimizzato per la lettura a monitor.

Come scegliere

Inutile dire che in ambito web il primo tipo di metodo non viene praticamente mai usato, a causa del suo limitato apporto al progetto (che si concentra solo su poche variabili definite a priori, limitando l'impatto delle scoperte) e del suo costo elevato. Molto più importante il test semplificato, perché genera scoperte in alcuni casi realmente creative su come altre persone utilizzano l'interfaccia. Passo decisivo di questo metodo è la depurazione dei risultati inutilmente idiosincratici, dei comportamenti che alcuni soggetti adottano solo per compiacere lo sperimentatore (spesso senza accorgercene) e la sintesi di quel che di buono si può trarre in una relazione agli sviluppatori che sia da essi realmente comprensibile. Elenchi di tabelle e grafici sono ben inutili se non si entra nello specifico di suggerimenti implementabili. Il costo di questo metodo varia a seconda di molti fattori, ma in una qualche variante esso è certamente sostenibile da qualunque progetto web io abbia partecipato, e i ritorni sono estremamente utili a identificare in maniera precoce problemi che altrimenti si trasferirebbero al prodotto finito, con danno ben più elevato del costo di una semplice tornata di test.

Idealmente, i test dovrebbero essere iterati più volte all'interno di un progetto: per capire quanto e quando, è bene contattare uno specialista fin dalle prime fasi del progetto. Solitamente consiglio ai clienti soluzioni su misura per il tipo di progetto, sovente con la possibilità di scegliere fra almeno due alternative.

L'osservazione ecologica è ovviamente utile quando… è possibile! Cioè quando il tipo di progetto la rende praticabile, quando si conoscono e si hanno sotto controllo ambienti d'uso e utenti di un determinato sito. E' sufficiente anche una sola mattinata di osservazione per trarre ottime indicazioni da parte di un esperto. E' sicuramente indicata nelle intranet o quando si debbano valutare utenti molto specifici, che operano in situazioni omogenee fra loro.

Qui sotto riportiamo una tabella riassuntiva dei tre metodi di cui abbiamo parlato con una indicazione di massima anche dell'ordine di spesa per i diversi metodi.

Metodi di osservazione strutturata degli utenti: caratteristiche a confronto
 Test sperimentaleTest informaleOsservazione ecologica
CostiAlti
(7.000-20.000 euro e più)
Medio-Bassi
(2.000-7.000 euro)
Bassi
(fino a 2.000 euro)
Numero utentida 25 a 50da 3 a 8Quanti disponibili
ProprietàAlta attendibilità; Verifica di ipotesi teoriche specifiche; ampiezza limitata dell'indagineEsemplarità; identificazione di un ampio ventaglio di problemi; insight sui motivi dei problemi incontratiIdentificazione di problemi legati al contesto e all'uso reale in condizioni reali, difficilmente riscontrabili nei test; scarsa verificabilità di dubbi e problemi specifici
Luogo di conduzioneLaboratorioStanza riservata con computerLuogo di lavoro
Dati raccoltiQuantitativi (tempi di risposta, numero di errori, di click, di successi, ecc.)Quantitativi (successi, errori, risposte a questionari) e qualitativi (Thinking aloud, interviste, colloqui di approfondimento)Qualitativi e quantitativi secondo una griglia predisposta

Cosa non sono i test di usabilità

Per finire, ci sembra interessante ricordare quello che i test non sono.

  1. I test di usabilità non sono focus group, non ci stancheremo mai di ricordarlo. Sebbene i focus group possano essere utili in specifiche fasi del progetto (più vicine a quelle di ideazione che di implementazione, però), queste situazioni non sono test di usabilità e non ci dicono nulla su come poi l'utente userà realmente quel prodotto.
  2. I test di usabilità non sono analisi euristiche, né analisi ispettive: questi sono metodi speculativi di analisi strutturata dell'interfaccia, altrettanto utili, ma svolte da esperti, non da utenti.
  3. Infine, i test di usabilità non sono task analysis (o analisi del compito). La task analysis non prevede l'uso di soggetti: è anch'essa un metodo di valutazione non empirico, speculativo e analitico, che prende le mosse da una precisa concettualizzazione del compito da svolgere, che viene scomposto nelle sue costituenti e attentamente analizzato a tavolino da un esperto. Non l'ho mai visto fare in un progetto web, e non ha comunque nulla a che vedere con un test, da cui è lontanissimo. Figuriamoci poi se possa aver a che fare con il thinking aloud, visto che non contempla l'uso di soggetti…

Queste poche note non vogliono essere esaustive: non basterebbe un libro di metodologia per affrontare tutte le varianti e le conoscenze necessarie a condurre appropriatamente i test di usabilità. Tuttavia sono sufficienti a farsene un'idea più precisa e forse a capire meglio quale strumento faccia al caso nostro.

L’usabilità dei link

Sebbene l’intero sistema-web si basi sull’ipertesto, e quindi sul link,
non è tuttavia scontato usare i link appropriatamente. Forniremo
qui una rassegna di base, proveniente da una varietà di fonti,
di linee guida su come migliorare la qualità dei vostri link,
senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento. Alcuni indirizzi utili
per approfondirlo sono disponibili in fondo all’articolo.
Altre considerazioni sui link intesi come strumenti di navigazione
primari
(barre di navigazione, menu) le rimandiamo invece ad un
prossimo articolo.

Riassumiamo brevemente i requisiti principali dei link: sono soprattutto
legati alla loro riconoscibilità e alla loro capacità
di far anticipare all’utente in maniera corretta dove porteranno.

Vi sono poi dettagli tecnici che attengono alla buona manutenzione del
sito: è necessario che non vi siano link interrotti o errati.
Le soluzioni purtroppo non sono buone per tutte le esigenze. Tuttavia,
come sempre, capire il principio che sottende ad una linea guida aiuta
a scegliere se questa fa al proprio caso, perché, e perché
eventualmente no.

Linee guida per i link

1.
I link migliori sono quelli testuali. In alcune ricerche è
stata segnalata una preferenza degli utenti per i link di testo. Solo
dopo averli esplorati, vengono prese in considerazione le immagini.
Ricordate che le immagini spesso non sono esplicite nel comunicare il
link, e sarebbe preferibile accompagnarle comunque con una definizione
testuale, come nella citatissima barra di menu di Yahoo.

2.
E’ bene usare sempre la sottolineatura per i link testuali. Si
tratta di una convenzione che si è imposta e che elicita automaticamente
le aspettative e il comportamento dell’utente.
Ora con i CSS (fogli di stile) è possibile eliminare le sottolineature.
Le nuove possibilità sono sempre stimolanti, ma comportano anche
una maggior responsabilità e, spesso, un maggior carico cognitivo
per l’utente, che deve capire e verificare se le parole colorate ma
non sottolineate siano dei link.
L’importante comunque è che non vi siano ambiguità: nel
caso di una barra di menu, ad esempio, l’organizzazione spaziale dei
link rimanda altrettanto direttamente alla funzione. In quei casi è
probabile che la sottolineatura non sia necessaria. La cosa migliore
per questa e ogni altra scelta che non sia del tutto convenzionale,
però, è testare le reazioni degli utenti.

3.
Per non creare confusione, non usate la sottolineatura in nessun
altro caso
(per evidenziare il testo potete usare il grassetto).
Altrimenti l’utente potrebbe credere che la parola sottolineata, a dispetto
magari del colore, sia un link.

4.
Sul colore dei link vi sono posizioni integraliste come quelle
di Nielsen, secondo il quale il blu è la soluzione corretta
perché convenzionale.
Altre evidenze
confermano che né il colore né l’assenza di sottolineatura
impediscono in casi specifici l’identificazione del link. Rimane
da stabilire quale sia il costo in termini di carico cognitivo per l’utente,
soprattutto quello inesperto, dell’uso di un colore non convenzionale.
Noi di Usabile abbiamo fatto una scelta precisa,
che ci ha attirato anche qualche critica. La cosa migliore è
comunque testare direttamente con gli utenti. In ogni caso, i link devono
differenziarsi in maniera netta dal testo.

5.
Usate due colori differenti per i link e i link visitati (‘link’
e ‘vlink’). Una buona scelta è quella di usare, per i link visitati,
un colore simile a quello dei link, ma meno brillante. In questa maniera
avranno maggior rilevanza visiva i link non visitati. Segnalare con
un diverso colore i link già visitati è considerato un
forte aiuto alla navigazione.

6.
Non disponete il link testuale su due righe: l’utente potrebbe
pensare che si tratta di due link diversi.
Es. (i link non sono funzionanti):

Errato:
In questo sito potrai leggere il quarto canto della
Divina Commedia di Dante Alighieri, gratis!

Nel caso qui sopra vi possono essere interpretazioni ambigue: c’è
un unico link al quarto canto, oppure nella prima riga linkiamo al quarto
canto, e nella seconda permettiamo di accedere all’intera Divina Commedia?
L’esempio seguente è invece univoco:

Corretto:
In questo sito potrai leggere il quarto canto della Divina
Commedia di Dante Alighieri, gratis!

7.
Linkate poche parole ma significative. Evitare sia il "clicca
qui", perché non dà indicazioni sulla destinazione,
sia il link con frasi lunghe.
Es. (i link non sono funzionanti):

Errati:
– Per leggere il quarto canto della Divina Commedia clicca
qui.
– Leggi il quarto canto della Divina Commedia di Dante.

Corretto:
– Leggi il quarto canto della Divina Commedia di Dante.

Il minimo indispensabile per essere chiari e non invasivi!

8.
In generale, usate per i vostri link un sistema di denominazioni
verbali coerente e significativo per l’utente
. Le parole che scegliete
devono avere senso per l’utente finale e suggerire un modello di organizzazione
del sito univoco.

9.
Se potete, fornite contesto ai vostri link usando del testo di
spiegazione nelle vicinanze del link. Tale soluzione è preferibile
alla scelta di linkare tutta la frase.

10.
Potete usare l’attributo TITLE del tag A per far comparire una breve
descrizione relativa al link,
che contenga informazioni essenziali:
nome del sito/pagina di destinazione, e breve descrizione. Fornite solo
le informazioni importanti
. Ricordate comunque di essere sintetici:
una frase troppo lunga non verrà letta.

11.
Se il link rimanda ad una pagina molto pesante, dal conseguente
caricamento lento, è bene anticiparlo all’utente.

Corretto:
Se hai il plugin guarda l’intro in Flash di Usabile.it! (824
KB)
(Specifichiamo che non esiste alcuna intro in Flash di Usabile.it!)

12.
Se il link rimanda ad un documento di tipo diverso dall’html (.pdf,
.zip, ecc.), è bene specificarlo, in maniera che l’utente
non si trovi disorientato dall’apertura improvvisa di un reader
(ovvero di un programma diverso dal browser, come Acrobat Reader o lo
stesso Word, che si apre all’interno della finestra del browser,
con grosso dispendio di risorse per il computer).
Questa accortezza andrebbe seguita da tutti i siti di pubbliche amministrazioni,
che spesso linkano la modulistica da scaricare in un formato particolare
(.doc, .rtf, .pdf), senza specificarlo o senza far partire un download
automatico.

Es. corretto:
Scarica il bando di concorso (formato .pdf, 167 KB)

13.
Non usare link interni alla stessa pagina (attraverso l’utilizzo
di ancore…): l’utente ne rimane disorientato, perché la regola
è quella che i link rimandino ad altre pagine. L’utente potrebbe
non rendersi conto di essere rimasto nella stessa pagina, e tentare
di tornarvi premendo (inutilmente) il tasto back del browser. Se volete
inserire una "tabella dei contenuti" della pagina, è
bene dichiararla e accertarvi che si presenti in maniera distinta dagli
altri link, evitando confusioni.

14.
Non aprire il link in nuove finestre. In caso contrario, è
bene specificarlo in anticipo all’utente.

15.
Non fornite lunghi elenchi di link, ma selezionate solo quelli
più rilevanti. Siate, insomma, sintetici anche nella scelta dei
link…

16.
Tentate di controllare spesso che i link alle vostre pagine siano
attivi
(non vi siano link interrotti, o ‘broken link’). Nel caso
di link a pagine esterne, può essere difficile verificarlo, perché
andrebbe fatto di continuo (i siti cui linkate possono cambiare di continuo).
Ogni tanto comunque è bene prendersi la briga di verificare la
destinazione dei vostri link.

17.
Ovviamente accertatevi anche che i link portino alla pagina corretta!
Sbagliare destinazione è più frequente di quanto non
si creda.

18.
Il link ha anche una rilevanza visiva che lo distingue dal testo
e dagli altri elementi della pagina: tenetene conto nell’organizzare
gli equilibri grafici,
evitando accatastamenti casuali di link mal
allineati, di grandezza difforme e di posizionamento dubbio.
Questo suggerimento ha a che fare naturalmente con la competenza grafica
del designer e con le regole di impaginazione che non possiamo qui riassumere.

19.
Chiudiamo infine ricordando uno dei problemi dei link in Flash: non
consentono di anticipare l’url di destinazione
attraverso la scritta
che compare nella barra di stato del browser, in basso a sinistra. A
maggior ragione, essi devono essere ancora più chiari ed indicativi
dei link in html.

Queste indicazioni non sono quasi mai seguite per intero e univocamente
dai siti,
nemmeno da quelli che si occupano di usabilità.
Conoscerle comunque è d’obbligo, e seguirne almeno una buona
percentuale consente senza dubbio di migliorare la qualità dell’esperienza
dei vostri utenti.

Nota: In queste linee guida non sono presenti considerazioni
problematiche o dal valore non condiviso. Una delle linee guida omesse,
ad esempio, consiglia di limitare o eliminare del tutto i link
che portano all’esterno del proprio sito.
Si tratta di un suggerimento
che ha una sua logica, ma che è largamente impraticabile e,
tutto sommato, contrario alla filosofia dell’ipertesto. Più
sensato e praticabile appare il suggerimento di limitarsi ai soli
link importanti:
si è scelto dunque di omettere il primo
suggerimento in favore del secondo (n.15). Per approfondire: http://webword.com/moving/linkout.htm