Quando con il cliente va tutto storto

Antonio Volpon affronta un argomento assai poco dibattutto: i problemi di comunicazione con i clienti.

Un tema che sarà anche sgradevole, ma con il quale ci si trova a dover fare ogni tanto (si spera solo ogni tanto…) i conti. Un’azienda strutturata come quella dove lavora Antonio è naturalmente più esposta a incomprensioni rispetto al singolo professionista, perché spesso ci sono molte persone nello staff che devono parlare con altrettante persone nello staff del cliente. Capita comunque a volte che si arrivi ad un punto del progetto con la sensazione che non ci si sta affatto capendo, né reciprocamente soddisfando.

Certo, una mail come quella citata da Volpon è assai rara da ricevere. Capita cioè assai di rado che un cliente dica esplicitamente che è deluso e che si aspettava di più. In 18 anni di lavoro nel campo della comunicazione (non solo nell’usabilità), non ho mai ricevuto (nè visto ricevere) critiche così esplicite. Ma ho sempre ritenuto che questo fosse un male. Esplicitando il problema – magari con il necessario tatto e senza cercare vendette personali – si ha una maggior probabilità di risolverlo. Di solito, invece, i clienti hanno una certa difficoltà a mettere in discussione il consulente, il collaboratore, l’azienda che stanno pagando. Aspettano di finire il contratto per poi archiviarlo. E così nessuno impara niente dall’esperienza, fino alla prossima delusione.

In lavori come le consulenze di usabilità (ma anche nel project management) il problema con i clienti è spesso legato a:

  1. Il fatto che il lavoro di analisi “non si vede”
  2. Il fatto che il lavoro produce report o bozzetti che non sono come ci si aspettava
  3. Il fatto che non è chiaro a priori chi deve fare cosa
  4. Il fatto che si parlino linguaggi differenti o si adottino punti di vista differenti, il che porta ad aspettative errate che emergono però troppo tardi, quando il lavoro è ad uno stadio avanzato e ognuno dei componenti del progetto è partito per la tangente, assegnando responsabilità a tizio o a caio

A volte le difficoltà originano da problemi di relazione interni allo staff del cliente con cui si lavora. Persone con idee, formazioni, obiettivi differenti remano per spostare o anche solo vedere il progetto in un modo non condiviso. Da consulente esterno ho spesso la sensazione di non riuscire a intervenire in queste dinamiche, per ovvie ragioni. Ma è da lì che bisognerebbe partire.

Non potendolo, bisogna subire passivamente? Direi di no. Si possono almeno mettere in atto unilateralmente alcune “buone pratiche”:

  1. Concordare nel dettaglio il tipo di output (di delivery) che si produrrà. Meglio se si presentano esempi (cosa difficile, perché bisognerebbe violare il non disclosure agreement stipulato con clienti precedenti). Ecco perché è buona norma avere delle pagine “dummy”, cioè fittizie, che testimonino come saranno i documenti veri. Attenzione: questi vanno prodotti solo quando è certo che potrete produrli in quel caso. Nelle analisi di usabilità si possono compilare i report in molti modi, ed è bene non presentare un esempio che non riuscirete a mantenere per mancanza di dati a disposizione.
  2. Se il cliente non ha le idee più che chiare, preferire documenti progettuali ad alta fedeltà. Sono più seduttivi, e nella mia esperienza meglio digeriti dal mercato italiano. Una buona pagina in Photoshop conquista molto più il cliente di un complesso mockup interattivo a bassa fedeltà che ha richiesto il triplo di lavoro.
  3. Evitare le pratiche ossessive. Sebbene tutti i buoni manuali di management prescrivono di compilare dopo ogni riunione una lista di “punti condivisi” da… be’, condividere fra tutti i partecipanti, questi documenti spesso vengono compilati da un’unica persona: il che gli assegna un ruolo che magari nemmeno vuole, ma che mette pressione agli altri partecipanti laddove si usi un linguaggio poco chiaro o si adotti un punto di vista unico. Ho trovato spesso queste liste discutibili, poco accurate, piene di punti che non si erano affatto condivisi o non risolti. Inoltre, la pratica di inviare di continuo documenti di questo tipo fa percepire un chiaro clima di sfiducia (anche se non è chiaro di chi verso chi). Poiché condividere è necessario, è bene farlo in maniera più morbida e collaborativa. Fissare pochi obiettivi e scadenze chiare, ed evitare liste della spesa ansiogene e irrealistiche.

Spesso per ridurre le tensioni è sufficiente produrre esempi concreti, superando le aspettative. Produrre un documento completo e con esempi di soluzioni concrete, anche se solo informale, aiuta a creare un clima di fiducia e a volte abbassa la tensione di riunioni troppo lunghe e inconcludenti.

Bisogna ricordare che le tensioni spesso nascono dall’ansia di qualcuno dei componenti. Tutte le tecniche volte alla riduzione dell’ansia (conferme, risultati, divisione del lavoro in componenti maneggiabili e parziali, clima più informale ma rispettoso di scadenze e vincoli) possono essere decisive.