L’usabilità dei ponti

Dopo le polemiche sull’impossibilità di accesso da parte dei disabili, il nuovo ponte di Calatrava a Venezia si trova in mezzo ad una nuova contestazione: le persone cadono! Il Corriere di domenica 28 settembre sottolinea che questo avviene per effetto di almeno due scelte progettuali: gradini che raddoppiamo improvvisamente la pedata, ingannando il passo, e una riga trasversale necessaria per ragioni strutturali che inganna l’occhio.

Risultato: utenti definiti “distratti” finiscono gambe all’aria. Vi ricorda niente? Tempo fa avevamo parlato dell’usabilità delle piazze, citando persone che finiscono a osservare il cielo contro la loro volontà a causa di piani inclinati e materiali resi viscidi dall’umido e di piastrelle che saltano dopo pochi mesi dall’inaugurazione. E allora? Quelle che credevamo eccezioni dovute ad architetti poco esperti e disattenti all’usabilità si stanno rivelando pericolose abitudini nell’architettura contemporanea? Che ruolo ha l’utente, la sua comodità e la sua sicurezza, in progetti urbanisticamente impegnativi come piazze e ponti?

Occhio ai facili giudizi. Quella che sembra un’evidente mancanza va indagata meglio e posta a raffronto quantitativo con casi comparabili. Ad esempio: le cadute sul ponte di Calatrava sono significativamente superiori a quelle che si riscontrano in altri ponti simili? Il pronto soccorso di Venezia, unico che può avere dati attendibili in merito, infatti, minimizza, dicendo che problemi del genere accadono regolarmente in laguna. Migliaia di turisti al giorno e pochi inevitabili casi di cadute. Forse quelle di Calatrava fanno notizia per le stesse ragioni politiche per le quali dopo un’esposizione pubblica di un anno, il progetto è stato contestato – magari anche con buone ragioni – solo alla vigilia dell’inaugurazione. Se le cadute sono in media con quelle degli altri ponti – e questo va chiarito prima di qualsiasi giudizio – va posto un problema ancora diverso: è possibile che un’opera contemporanea non tenti di ridurre le cadute? In fondo le conoscenze ergonomiche e ingegneristiche dovrebbero essere progredite.

Questa seconda questione ha a che fare con due problemi:

  1. La difficoltà di fare test con utenti con artefatti fisici. Se un’interfaccia digitale può essere facilmente preparata e simulata anche senza scrivere il programma che la comanda, lo stesso non si può dire per piazze e ponti. Mentre i calcoli tecnici sono fondati su modelli matematici, l’analisi dei contesti d’uso è possibile solo con il coinvolgimento delle persone. Tuttavia, alcune linee guida da esperienze passate dovrebbe essere possibile dedurle. Ma forse, a differenza del mondo digitale, non esistono esperti di architettura (dovrebbero farlo gli ergonomi?) che raccolgono in un unico archivio tutti i difetti delle opere architettoniche alla prova dell’utente per trarne una casistica utile nei nuovi progetti.
  2. I limiti della corsa all’innovazione. Sebbene uno degli scopi di ogni progetto che ambisca ad ottenere ampio richiamo in tutto il mondo sia quello di apportare innovazioni rispetto all’esistente, vi è un rischio intrinseco nell’innovazione: quello della non facile testabilità. Si scelgono soluzioni che non possono essere a prova di ogni situazione. Penso soprattutto all’uso dei nuovi materiali resi disponibili dai progressi tecnici. Il loro comportamento può essere ampiamente testato sulle questioni strutturali (ovviamente prioritarie), ma forse meno su quelle contestuali. Come si comportano le superfici dei nuovi materiali quando diventano umide? O fredde? O calde? Non parlo solo dell’espansione o della contrazione, ma appunto, del fatto che costituiscano solidi piani d’appoggio, che le maniglie non siano viscide. Che non creino riflessi ingannevoli o fastidiosi in situazioni ambientali particolari. Tutte queste situazioni non sono testate per definizione per le idee innovative.

Innovativo significa “che non c’era prima”. L’innovazione è al centro del discorso produttivo e industriale odierno, e sembra che non si possa fare mercato senza una consistente dose d’innovazione. Ogni nuovo strumento viene presentato come innovativo, favorevole all’innovazione, abilitante all’innovazione. L’innovazione per essere sicura – o anche solo funzionale – ha però bisogno di un rodaggio. Possono infatti presentarsi problemi imprevisti. Anzi, spesso l’innovazione porta soluzioni inedite a problemi vecchi e nuovi, ma ne pone o ne crea altri, imprevisti.

Se l’innovazione diventa un valore assoluto, a prescindere dai casi e dai contesti, gli effetti collaterali vengono visti come inevitabili dazi pagati al progresso. Che è misurato solo sulla base dei vantaggi ottenuti da committente e progettista (in termini di prestigio o di ricavo economico), non della società nel suo insieme. Se l’innovazione è invece solo una delle possibili qualità di un progetto, inserita in un elenco di priorità che può prevedere che altre caratteristiche siano di volta in volta privilegiate, allora anche la qualità della vita, la sicurezza, il comfort, diventano variabili altrettanto importanti dell’aumento di produttività o di prestigio. E si tratta di variabili che riguardano tutta la comunità, non solo committente e progettista.