Un’interessante ricerca di Aboutuser in collaborazione con l’università di Udine indaga il rapporto fra pubblicità e usabilità nei siti dei quotidiani italiani. L’indagine, condotta da Luca Schibuola e Giorgio Brajnik, ha analizzato tre siti dei principali quotidiani italiani con un campione totale di 34 utenti, alle prese con compiti di diverso tipo:
- navigazione libera
- ricerca di uno specifico articolo
- lettura (e successivo test di comprensione) dell’articolo.
Durante questi compiti gli utenti incontravano tre tipi di pubblicità, distinte in base all’invasività:
- a invasività bassa (annunci testuali o grafici di piccole dimensioni e statici)
- media (annunci di dimensioni medie, animati)
- o grande: intestizial, pop-up e overlay, cioè quelle forme di pubblicità che coprono il contenuto di una pagina (o la ritardano) ostacolando il compito all’utente, che non può fare a meno di interagire in qualche modo con l’annuncio. Se andate ogni tanto sul sito del Corriere e di Repubblica ne avrete visti di sicuro (in particolare, Repubblica si ostina a infestare le sue pagine di pop-up e di interstiziali, sebbene per fortuna molti browser ormai disabilitino almeno il primo tipo di “intrusione”).
La pubblicità più invasiva disturba di più l’utente
I risultati, benché da approfondire, danno indicazioni interessanti. In particolare, evidenziano come sia il tipo di pubblicità sia il tipo di compito contino.
Pubblicità fortemente invasiva
La pubblicità più intrusiva (pop-up, interstizial, overlay) diminuisce infatti sia la comprensibilità del testo, che la soddisfazione complessiva degli utenti espressa al termine. Inoltre aumenta il tempo di svolgimento dei compiti. Le differenze non sono comunque grandi.
Pubblicità mediamente invasiva
Tuttavia anche la pubblicità di impatto intermedio porta a qualche problema di usabilità: riduce di un po’ la capacità di raggiungere l’obiettivo dell’utente e aumenta il tempo di esecuzione.
Buon impatto della pubblicità poco invasiva
La cosa interessante però è che l’attenzione suscitata dai tre tipi di pubblicità è simile. Ciò significa quindi che anche la pubblicità a impatto basso ha un buon ritorno in termini di attenzione. E pure di “ricorrenza”: cioè quanto spesso le persone tornino a guardare l’annuncio (valutato con l’eye-tracking).
Ciò dovrebbe consigliare approcci minimalisti alla pubblicità: è vero infatti che la pubblicità più invasiva ha tempi di osservazione più alti, ma non ci sono evidenze di una maggior “brand awareness”, né di maggior ricorrenza, né di maggior attenzione complessiva. Si guardano di più, com’è ovvio, perché sono più grandi e coprenti. Ma anche quelle piccole sono viste e notate. In più, la pubblicità invasiva diminuisce la soddisfazione, crea maggiori problemi di interazione e riduce la comprensione dei contenuti. Sempre che di questi aspetti, nel cosiddetto «giornalismo di qualità», importi a qualcuno.
Conta anche cosa fa l’utente e com‘è disegnata la pagina
Ci sono due altri fattori che influenzano l’efficacia della pubblicità: il tipo di compito e il layout del giornale. Le pubblicità vengono viste di più nei compiti di navigazione, e sembrano perciò più efficaci nelle pagine di archivio, di elenco, di ricerca, che in quelle di destinazione, quando si sta leggendo, e la lettura focalizza l’attenzione sul testo e meno sulla pubblicità.
Sull’influenza del layout il resoconto della ricerca non è abbastanza esplicito da poterne qui discutere.
Verso una pubblicità basata sulla non-intrusività?
In conclusione, appare evidente che la pubblicità più invasiva non ha benefici evidenti e, anzi, crea maggiori problemi, mentre si possono ottenere buoni risultati anche con quella meno invasiva. Il layout e il compito dell’utente incidono sull’efficacia della pubblicità. E d’altra parte la pubblicità influisce sul tipo di compito: quella invasiva ostacola la comprensione della lettura.
I risultati, uniti ad altri noti (di cui parliamo in un vecchio articolo) suggeriscono che scegliere forme di pubblicità discrete, non invasive, preferibilmente sintonizzate con il compito e l’argomento del sito, e studiate sul layout dello specifico sito, sia la strategia migliore per massimizzarne il valore senza disturbare eccessivamente l’utente.
In tempi in cui si fanno grandi discussioni sui modelli di business dei giornali online e sulla crescita del mercato pubblicitario online, questo è senz’altro un buon punto da cui partire per ulteriori esperienze e riflessioni.
Sarebbe importante aprire un dibattito sull’effettiva utilità di questa pubblicità online. Ha qualche ritorno dal punto di vista economico? un ritorno che ne giustifica l’esistenza?
in questi giorni in cui ho letto che il NYT è ritornato in attivo grazie all’adv online mi chiedo come sia possibile perchè per mia esperienza personale non guardo mai e poi mai gli adv e anzi quando mi si aprano gli interstitial di repubblica mi scoccio alla grande…senza contare che con adblock posso bloccarli quando e come voglio.
Anch’io ho un cattivo rapporto con le pubblicità invasive, come quelle di Repubblica (di fatto lo studio qui citato suggerisce che non portino ad evidenti vantaggi, eppure loro insistono da anni…). Ma hai perfettamente ragione: mentre lo studio qui presentato compara tipi diversi di pubblicità online, bisognerebbe ragionare di più sull’efficacia (l’utilità economica) dell’online rispetto alle forme tradizionali su TV e cartaceo.
Ci torneremo, grazie dello spunto.
Ciao Maurizio,
che dire… una sintesi eccellente!
Qualche mia nota aggiuntiva.
Personalmente sono rimasto un po’ spiazzato dalla percentuale di coloro che si dicono soddisfatti dopo essere stati esposti a pubblicità invasiva: il 57% delle persone non sembra particolarmente turbata da pop up o ovelayer… c’è forse da fare un po’ di tara per via della condizione controllata di laboratorio, ma resta una percentuale elevata, inferiore di “solo” il 20% rispetto agli altri tipi di pubblicità.
Altra cosa in qualche modo sorprendente sono le variabili che il livello di pubblicità NON influenza, ne riporto 2:
In altri termini, il raggiungimento dell’obiettivo e la percezione di averlo raggiunto non sono influenzati dal livello pubblicitario.
Lo dico piano, ma se fossi un maligno pianificatore di display advertising io spingerei come un matto a questo punto 😀
Una conclusione sensata mi sembra quindi questa: la pubblicità non incide o incide poco su aspetti funzionali/prestazionali, ma su aspetti emotivi e cognitivi (la comprensione).
Il layout del quotidiano dal punto di vista dell’eye tracking influenza:
Di fatto si nota che il layout incide su ogni aspetto del rapporto utente-interfaccia. Abbiamo notato che il quotidiano incide quasi sistematicamente (in misure diverse) sulle variabili considerate, “implementando” o peggiorando l’effetto della pubblicità.
Come forse ci si poteva attendere: il quotidiano online è un ecosistema complesso che sviluppa o deprime il potenziale pubblicitario in diversi modi. Va studiato nella sua specificità per ottenere buoni risultati.
Grazie per l’interesse. Mi chiedo solo quando passi a trovarci!
Luca.
Le cose che ci racconti, Luca, ci dicono che gli utenti si adattano molto meglio di quanto ci aspetteremmo. E in effetti non può che essere così: altrimenti dovremmo vedere certi siti puniti negli accessi più di quanto non sia. Rimane il fatto che una cospicua minoranza è infastidita: se fossi il responsabile di quei siti, tenterei di ridurne l’impatto. Probabilmente non viene fatto per ragioni economiche. Se gli ad invasivi vengono venduti a prezzi più alti, anche se una minoranza robusta di utenti se ne dichiara insoddisfatto, il vantaggio economico è più forte per il titolare del sito dell’opinione vagamente negativa di una parte dell’utenza.
Quello che la tua ricerca indica, è che forse il prezzo più alto per gli ad invasivi non è così giustificato. E io questo lo ribadirei forte e chiaro, soprattutto agli inserzionisti.
Grazie anche per gli altri interessanti chiarimenti!