Il WASP chiude. L’accessibilità aprirà?

Dopo quasi 15 anni di attività il Web Standards Project chiude. Missione compiuta, annunciano dal blog. In questi anni sono riusciti, in realtà assieme ad un sacco di persone, a portare all’attenzione generale degli sviluppatori il rispetto degli standard web e delle buone pratiche di coding. La realtà più prosaica è che sono riusciti soprattutto a coinvolgere (anche perché alcuni ci lavorano) i produttori di browser. Che poi alla fine degli anni ’90 erano il vero termine del problema.

Non ha vinto il W3C, dunque: ha vinto un’idea di sviluppo condiviso delle specifiche fatta dai principali attori del mercato (si pensi soltanto a HTML5). E’ quello che ci serve, comunque: il metodo condiviso non risolve tutti i problemi di compatibilità, ma ha il merito di introdurre modi per sperimentare nuove feature senza creare troppi problemi agli sviluppatori. Compatibilità e innovazione finalmente a braccetto.

La verità è che un gruppo di pressione in tal senso non serve più, comunque. Mentre gli standardisti salutano, un post su Modern Accessibility ci ricorda come siano andate diversamente le cose per un tema attiguo a quello degli standard: l’accessibilità. Sebbene apparentemente riporti il successo di essere riuscita a diventare legge in alcuni paesi fra cui l’Italia, l’accessibilità non riesce a stare al passo con le evoluzioni dei linguaggi di marcatura, e soprattutto non riescono a starci al passo (com’era ampiamente prevedibile e previsto) le legislazioni. Così le PA si trovano ora a dover produrre siti obsoleti qualora intendano rispettare la lettera della legge, oppure cercare escamotage per fornire siti e servizi web adeguati ai tempi, più usabili (ad esempio grazie al positivo uso di Ajax che semplifica le interazioni ma complica il rispetto delle norme) e compatibili con i dispositivi mobili più recenti che da HTML5 e CSS3 traggono cospicui vantaggi.

L’accessibilità divide, gli standard uniscono

Il problema, ricorda Eric Eggert su Modern Accessibility, è che a differenza del movimento per gli standard, quello per l’accessibilità si basa su argomenti divisivi anziché coesivi. C’è una parte di “depositari del sapere” che spaventa gli altri con argomenti come “se non è accessibile verrai denunciato”, o rende il tutto incerto con esempi non coerenti fra loro, punti di vista che si moltiplicano e accuse di scarsa competenza. Come se esistesse, appunto, in una materia così fluida, una certezza stabile di competenza, indipendentemente dall’evoluzione tecnologica ma anche dall’evoluzione dell’esperienza degli utenti.

Il problema non è solo italiano, dunque. Benché in Italia, alcuni appartenenti all’unica associazione di “esperti di accessibilità” riconosciuta dal ministero (come se il ministero fosse patentato ad attribuire queste qualifiche, che somigliano, benché certamente non lo siano, a ringraziamenti a consulenti amici), non solo usano fin dal principio (da prima del 2004) questi argomenti e un tono vagamente bullistico per imporre una visione ortodossa dell’accessibilità, ma si beano persino di essere definiti “talebani”.

Il risultato complessivo è che, a distanza di anni e dopo innumerevoli battaglie, il movimento per l’accessibilità non può dire di aver ottenuto reali risultati, se non leggi formalistiche largamente disapplicate, e un clima di paura e di ostacolo al confronto. L’esempio è appunto la patente di “esperti riconosciuti”: scoraggia altri ad esporsi, non è utile a nessuno se non forse, lo speriamo per loro, alla formazione erogata da questi esperti. Non è un problema italiano, come si vede, anche se in Italia, come per altri problemi mondiali, lo abbiamo in qualche modo anticipato.

Una speranza di confronto aperto

Ci vuole un approccio più aperto ed inclusivo quando si parla di accessibilità. Bisogna uscire dalla logica di un sapere “esperto” che dall’alto impone e vincola, ed entrare in un’epoca di collaborazione fra sviluppatori, presunti esperti (che dovrebbero spogliarsi di questa presunzione), utenti e produttori di tecnologie. In caso contrario non leggeremo mai un post di “missione compiuta” come quello del Wasp.

Il WASP muore, viva il WASP. Abbiamo molto da imparare da loro.

2 thoughts on “Il WASP chiude. L’accessibilità aprirà?

  1. Articolo illuminante. Purtroppo in Italia si è preferito dare ascolto ad associazioni immanicate con la PA che hanno perseguito il proprio business imponendo linee guida al limite del demenziale.

  2. Vi è giunto all’orecchio che il ministro Profumo ha firmato il mese scorso l’aggiornamento all’allegato dei requisiti tecnici, che ora sono conformi alle WCAG 2.0…? Requisiti che erano fermi e insabbiati da più di due anni. Lo so perchè ho fatto parte del gruppo di lavoro.
    Certo, questo non risolve tutti i problemi come una bacchetta magica, ma se non altro apre la strada a tutte le tecnologie, all’HTML 5, Ajax, Flash….e chi più ne ha più ne metta.
    Quindi i riferimenti che tu fai alla rigidità dell’HTML 4 e alla necessità di dare alternative al javascript tra non molto non sussisteranno più.

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