Una nuova piattaforma per gli sviluppatori di servizi pubblici online

Agid ha annunciato che, in collaborazione con il Team per la Trasformazione Digitale istituito presso la Presidenza del Consiglio e guidato da Diego Piacentini in aspettativa da Amazon, è nato developers.italia.

Si tratta di un sito che:

nasce per mettere a disposizione di tutti il codice sorgente, un moderno sistema per la gestione della documentazione e gli strumenti di interazione per coordinare e sviluppare i progetti digitali della pubblica amministrazione in modo più efficace e veloce, con l’obiettivo di creare un ambiente aperto, in grado di promuovere l’interazione con gli sviluppatori del settore pubblico e privato.

Si tratta di un primo passo per realizzare quello che Piacentini aveva chiamato, in un post su Medium dello scorso dicembre, il sistema operativo del Paese. In sostanza, si condivide codice e documentazione, attraverso piattaforme collaborative, per facilitare tutti coloro che devono realizzare servizi pubblici online. Evitare doppioni, usare il più possibile documentazione condivisa, API aperte, e tutto ciò che potrebbe rendere i servizi fra loro interoperabili, omogenei e più economici.

Sviluppatori aperti, appalti opachi

Le dichiarazioni d’intenti sono tutte ottime. Al momento però è presto per dire la direzione che prenderà il progetto e soprattutto per capirne l’efficacia. L’informatica pubblica in Italia è, sfortunatamente, gestita attraverso appalti elefantiaci, appannaggio di poche grosse e grossissime aziende, che non sempre hanno l’efficienza come primo obiettivo, anche perché devono mantenere strutture corpose e, sostanzialmente, pagare un sacco di stipendi.

Problema che non è solo italiano, e che in USA e UK viene affrontato, non senza qualche polemica, dando spazio anche a gruppi più piccoli di sviluppatori. In teoria, condividere codici, documentazioni e standard dovrebbe aiutare a far lavorare di più i piccoli. Ma dico in teoria: perché ovviamente è sugli appalti che bisognerebbe intervenire, e in generale sui controlli interni ai progetti. Spesso carenti – anche laddove gli appalti li prevedano – per ragioni troppo complesse per esaminarle in queste poche righe.

Due rischi dietro l’angolo

Altri due rischi del progetto è che venga usato con delle finalità non dichiarate:

  1. La prima, di copertura: sostanzialmente un richiamo mediatico alla cultura della condivisione in rete, che si traduca in una piattaforma poi poco praticata e di fatto irrilevante per i progetti che contano; intanto però si guadagna tempo e si spinge sulla retorica dell’innovazione, poi si vedrà. Speriamo ovviamente che non sia così, e la concretezza degli scopi di questa piattaforma fa ben sperare.
  2. La seconda è quella della dell’uso del nome “comunità” per un luogo dove si fa in realtà una comunicazione unidirezionale e gerarchica; le comunità di solito funzionano se sono ben gestite, moderate, e se danno vantaggi a tutti i partecipanti. Il Team di Piacentini dovrà quindi attivamente dedicare risorse anche alla moderazione della comunità, renderla un canale realmente interattivo, altrimenti rimarrà, come per altre comunità pubbliche con scopi analoghi, un guscio vuoto.

Il nuovo che cancella il vecchio; che poi cancella il nuovo

C’è poi un’ulteriore idea che serpeggia dietro questo modo di portare avanti le strategie digitali. Quella secondo cui tutto quello che è stato fatto e tutte le competenze interne alla PA degli ultimi anni siano inutili. E quindi sarebbe meglio spazzarle via con continui “nuovi inizi”, nuovi progetti. Sappiamo invece – ma lo si ricorda poco nei continui pianti su quanto male vanno le cose digitali in Italia – che nella PA è all’incirca dal 2008 che le cose sono peggiorate. Magari non eravamo i primi in Europa neanche prima, ma dal 2008 al 2014 siamo semplicemente peggiorati, mentre gli altri hanno fatto passi avanti.

Potenziare ciò che c’era e che funzionava, indicarlo chiaramente, potrebbe anche servire a conquistare una maggior adesione da chi nella PA ci lavora, adesione senza la quale, s’è visto, i progetti di rinnovamento radicale e ambizioso sono destinati al fallimento.

Vedremo: sono tutti dubbi che solo il tempo dissiperà. Siamo ai primi passi di un tentativo di “cambio di direzione” in logiche molto complesse e stratificate. Non pensiamo sia semplice, non abbiamo soluzioni alternative da proporre, tranne forse di essere concreti e onesti: proporre cose utili e giuste, attraverso queste piattaforme, e non solo imporre decisioni magari discutibili. Fare in modo di avere davvero una comunicazione bidirezionale, ed essere realmente aperti ai buoni contributi, se arriveranno. Il nostro augurio è che tutto vada per il verso giusto, e che i risultati superino le aspettative.

Male che vada, comunque, almeno non rimarremo a corto di comunità online…